Il rischio di dipendenza dai bandi
La finanza agevolata è uno strumento potente.
Permette alle imprese di accelerare investimenti, sperimentare, innovare.
Ma come ogni strumento, se usato senza consapevolezza, può diventare una dipendenza.
Negli ultimi anni sempre più aziende hanno costruito la propria strategia di crescita intorno ai bandi pubblici, arrivando a considerarli non un supporto, ma una condizione necessaria per agire.
È un fenomeno potenzialmente dannoso, perché sposta il baricentro della decisione: non si innova più quando serve, ma quando esce il bando giusto.
Sommario
La trappola dell’opportunismo
Molte imprese non pianificano i propri progetti in modo strutturato.
Aspettano il bando, ne leggono le linee guida, e poi modellano un’idea “su misura” per rientrare nei requisiti del bando. Si parla di digitalizzazione, e allora nasce un progetto digitale.
Si parla di sostenibilità, e improvvisamente l’azienda diventa green.
È un modo reattivo di affrontare l’innovazione: non si parte dai bisogni reali dell’organizzazione, ma dalle opportunità del momento.
Il risultato è spesso un mosaico di iniziative scollegate, avviate per incassare un contributo più che per costruire un cambiamento.
Questo approccio genera tre conseguenze ricorrenti.
La prima è la discontinuità: si investe solo quando ci sono fondi, e i progetti si interrompono quando il contributo finisce.
La seconda è la scarsa sostenibilità: molte soluzioni, nate per “soddisfare il bando”, non hanno vita propria al termine del finanziamento.
La terza è la frammentazione: ogni bando produce un progetto isolato, e l’azienda si ritrova con molte iniziative parziali, senza una direzione comune.
La dipendenza dai bandi è subdola perché dà l’impressione di muoversi, mentre in realtà immobilizza. L’azienda resta ferma, in attesa del prossimo avviso, invece di guidare il proprio percorso di innovazione.
La prospettiva dell’innovation management
Un innovation manager vede la finanza agevolata da un’altra prospettiva.
Per lui, il bando non è un punto di partenza ma uno strumento di accelerazione.
Prima viene la strategia a tre/cinque anni, poi la prioritizzazione dei progetti (purché allineati con la strategia), e solo dopo il bando più adatto per sostenerli.
L’obiettivo è costruire un piano di sviluppo coerente, indipendente dalle tempistiche della politica economica.
In questo approccio, la finanza agevolata serve a potenziare idee già validate: la transizione digitale, l’innovazione di processo, la sostenibilità produttiva.
Il valore nasce dentro l’azienda e il contributo pubblico lo amplifica, non lo genera.
Verso un approccio maturo alla finanza agevolata
L’uso consapevole dei bandi richiede pianificazione.
Significa definire obiettivi, misurare la propria maturità digitale, costruire un portafoglio progetti e mantenerlo vivo nel tempo.
Quando arriva un bando, l’impresa è pronta: sa già quali progetti candidare, con quali partner e quali risultati attesi.
È un approccio proattivo, non opportunistico.
In questo modo la finanza agevolata diventa una leva di investimento, non una stampella.
Permette di accelerare ciò che l’azienda avrebbe comunque fatto, aumentando l’impatto e riducendo i rischi.
E soprattutto, trasforma l’innovazione da evento episodico in processo continuo.
L’autonomia come obiettivo finale
La vera innovazione si riconosce dalla sua capacità di stare in piedi da sola.
Un progetto che ha senso solo perché finanziato non è innovazione: è assistenza mascherata.
Un’impresa matura usa i bandi per spingersi oltre, non per restare a galla.
L’obiettivo finale non è ottenere un contributo, ma costruire autonomia: economica, strategica e culturale.
La finanza agevolata è un moltiplicatore di valore solo quando viene inserita in una visione più ampia.
E un’impresa davvero innovativa è quella che, anche quando i bandi finiscono, continua a innovare.
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